Meritocrazia e responsabilità nell’educazione dei figli

Le mie figliole, Sharon, Nancy e Watiuska erano diventate grandi senza che nemmeno me ne fossi accorto. Ognuna aveva il suo carattere, ma per poterle gestire tutte in maniera giusta ed efficace mi occorreva un metodo.

La mia mentalità razionale mi spinse a gestire la mia paternità con le stesse logiche che usavo nel business, e così decisi di tentare di applicarle anche in famiglia.

Naturalmente non era la stessa cosa: le mie attività non riuscivano certo a intaccare la mia razionalità come gli occhi dolci di Sharon, i modi ostinati di Nancy o la tenerezza di Watiuska. Però ci riuscii, con l’appoggio di Carla. Anche lei, come me, voleva che per tutte e tre le ragazze valessero le stesse regole. E avendo entrambi poco tempo a disposizione da passare in famiglia, quel poco tempo non volevamo certo sprecarlo in discussioni o litigi, ma viverlo in un clima di armonia e serenità.

Decidemmo quindi di adottare una serie di regole meritocratiche ben definite, quasi matematiche. In questo modo non eravamo noi a rispondere o No alle richieste delle nostre figlie: era il loro impegno, dimostrato attraverso i numeri, a stabilire se, cosa e quanto meritassero. E poi non mi erano mai piaciuti i genitori che rispondevano No a priori: se non si motivano le proprie scelte che insegnamenti si possono impartire ai propri figli?

Sperimentammo questo metodo innanzitutto con la dibattuta questione del rientro serale.

Quando la meritocrazia porta al successo: il caso Mercatino di Garbatella.

Era il 1999 e il mio Mercatino della Garbatella sembrava finalmente lanciato nella giusta direzione. Mario, il nostro direttore stava purtroppo attraversando un momento personale difficile. Cercammo di aiutarlo e sostenerlo ma il carico di stress era eccessivo per lui, dopo qualche giorno, all’improvviso, prese la sua roba e ci abbandonò, lasciando il suo posto vacante.

All’epoca il Mercatino aveva solo 5 dipendenti e non avevamo nemmeno un vicedirettore: il ruolo di Mario andava coperto al più presto. Osservando con più attenzione del solito i dipendenti del Mercatino, mi accorsi che una delle cassiere, la 22enne Francesca, riusciva ad emergere rispetto ai suoi colleghi nonostante fosse la più giovane di tutti.

Oltre a essere precisa, appassionata e propositiva, Francesca aveva dalla sua un grande vantaggio: aveva studiato storia dell’arte all’Università, e aveva una smodata passione per l’antiquariato e il design in genere. Questo le permetteva di fare valutazioni particolarmente azzeccate: se le davi in mano un semplice bicchiere di vetro, capiva subito se si trattava di un pezzo di valore o del solito bicchiere da mettere al prezzo fisso di 5.000 lire insieme a tutti gli altri. Prima del suo arrivo il Mercatino aveva una serie di standard da rispettare per velocizzare le valutazioni e gli oggetti venivano suddivisi esclusivamente per tipologia, grazie a Francesca avevamo capito che andavano valutati anche marca e qualità.

La mia scelta, dunque, ricadde su di lei, e le cose cambiarono fin da subito. I clienti tornavano volentieri perché finalmente sapevamo distinguere la zuppiera in vetro da mettere a poche migliaia di lire, da quella in cristallo, magari firmata, che poteva essere venduta anche a 100.000 lire. E i clienti, che quegli oggetti li avevano pagati tempo prima e che quindi ne conoscevano bene il reale valore, quando si sentivano compresi e appagati dal valutatore tornavano da noi per portare sempre nuova merce.

Le cose continuarono a migliorare continuamente e costantemente, e noi cominciammo a scalare velocemente la graduatoria di incasso dei Mercatini a livello nazionale.

Meritocrazia e responsabilità nel Business.

Essere a capo di una famiglia non è molto diverso fa fare impresa. In entrambi i casi ci sono responsabilità, dinamiche personali, attitudini e talenti che vanno gestiti al meglio.

Come per la mia famiglia, applico la meritocrazia e la responsabilità anche nelle mie aziende. L’obiettivo è avere sempre un ambiente meritocratico e responsabile in modo da dar vita a quella che io chiamo l’arte del delegare. Questo approccio mi ha aiutato, fin dalle mie prime imprese commerciali, ad avere un Team coeso, efficiente e appassionato. Un Team che ogni volta ha saputo fare la differenza in un mercato sempre più concorrenziale ed esigente.

 

Quali sono i traguardi raggiunti da tutta la mia famiglia, grazie al valore della meritocrazia?

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Da Imprenditore a Pilota

Feliciano Lorenzo Di Giovambattista: esperienza da pilota

DA IMPRENDITORE A PILOTA
In questi anni ho scritto un libro e diversi articoli di analisi, dati e strategie che portano un uomo al successo: strumenti, esempi, statistiche. Volevo che il mio percorso fosse un esempio per chi ha grinta e volontà ferree per cambiare il suo futuro, imparando a gestire ostacoli e difficoltà come un pilota sulla strada.

 

PILOTA IMPRENDITORE O IMPRENDITORE PILOTA?
Durante il mio percorso professionale, la mia naturale e innata propensione al rischio mi ha spinto più volte a superare i limiti che mi imponeva la società, e qualche volta persino quelli che io stesso mi ero posto.

Una passione, quella per la velocità, nata in età adolescenziale con il primo motorino e ritrovata dopo qualche anno a bordo della mia Yamaha YZF750 e poi alla stupenda e potentissima Yamaha R1. Per scoprire presto il magico mondo della pista e i circuiti di Latina, Magione, Vallelunga e Misano ecc.


In pista era più facile superare i miei limiti e governare i pistoni, i giri del motore e la sinfonia del rombo del motore, come un direttore d’orchestra dirige i suoi musicisti.
Poi i viaggi in tutta Europa a bordo della mia moto da Gran Turismo, una BMW GS 1200 Adventure, e le sfide alla velocità in caduta libera con il bunjee jumping.

Oggi vorrei parlarvi della mia ultima esperienza in pista e di come l’essere un pilota abbia influito sulle mie capacità da imprenditore.

 

IL TROFEO PREDATOR’S
Dopo anni in cui ho coltivato la mia passione per la velocità su ogni mezzo possibile ho coronato uno dei miei sogni: partecipare alla mia prima gara di campionato nazionale su una Formula X.
Voglio ringraziare di cuore Alberto Naska che attraverso i social, in una calda serata primaverile, lo scorso anno mi ha permesso di scoprire questa competizione, valida per il Trofeo Predator’s, e dopo neanche un anno eccomi qui a disputare la mia prima gara, che si è svolta esattamente come nella Formula 1.
Stesso contesto, stessa procedura e stesse regole.

 

UN’ESPERIENZA INCREDIBILE
È stato un esordio davvero soddisfacente, una gara incredibile e tanto spettacolo sia dentro che fuori la pista.

Immaginate l’emozione: siamo scesi in pista il sabato mattina per le prove libere. Inizialmente poco sciolti poi sempre più sicuri osservando i grafici e i numeri che cominciavano a scorrere sullo schermo.
Ogni pilota è sempre alla ricerca della corrispondenza esatta tra curve e velocità nei vari punti della pista. Man mano che il tempo scorre, come per magia i piloti migliorano, la pista migliora e le velocità sul tabellone iniziano ad aumentare sempre più.

Poi inizia il bello: la domenica di qualifica, e qui arriva l’adrenalina vera.
L’emozione incredibile della gara, i meccanici a disposizione per regolare l’assetto, modificare le ali, fare rifornimento e cambiare le gomme. Ogni istante misurato dalla telemetria e aver modo di

capire in tempo reale, le aree di miglioramento.
Sono stati due giorni davvero straordinari.

 

AFFRONTARE LE CURVE CON METODO E ISTINTO
Come tutti gli appassionati e gli esperti sanno, in molti circuiti ci sono curve particolari, o punti precisi dove è necessario tanto cuore e tanto coraggio. Come un imprenditore impegnato a “guidare” la propria azienda, i piloti sono in grado di “sentire” la macchina sotto di loro. Sentono vibrazioni e sensazioni, ne osservano la risposta e provano a spingerla oltre al limite.
E così, come un direttore d’azienda osserva il mercato in cui si muove, un pilota deve conoscere la pista ed essere pronto. Ogni pilota sa che ci saranno dei punti critici dove rallentare e altri invece dove sarà necessario letteralmente “lasciar andare” la macchina. Sono quei momenti dove tutto si contrae, si smette anche un attimo di respirare, si fa tanta forza con le braccia e con tutto il corpo per rimanere lucidamente alla guida della vettura.

Ogni curva è diversa e ognuna ha in sé una caratteristica di rischio per un motivo o per un altro: scarsa visuale, un muretto troppo vicino in uscita, un banking sfavorevole che ti porta fuori traiettoria.
Sono quelli i punti dove l’uomo, il pilota, riesce a fare ancora la differenza rispetto al mezzo meccanico, dove ci vuole coraggio, consapevolezza dei propri mezzi, e quella piccola dose di follia che accomuna i campioni veri.